Macchine e robot hanno sempre esercitato sull’essere umano un mix di attrazione e diffidenza.
Le une e le altre esercitano un fascino particolare dovuto al fatto di avere capacità del tutto simili a quelle dell’uomo ovvero assolutamente al di fuori della sua portata. La paura è che la somiglianza tra l’uomo e la macchina e quella che, per certi aspetti, può sembrare essere la superiorità di quest’ultima, porti ad un totale ribaltamento degli equilibri di potere e controllo.
Il timore, in pratica, è che macchine sempre più perfette possano sostituirsi al da sempre imperfetto essere umano. La letteratura di fantascienza ha ripetutamente sviluppato questo tema, presentando scenari dai più romantici ai più terrificanti. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale (IA) sembra ora in grado di dar vita a sogni (o incubi) finora confinati negli scenari della fantasia: dalle macchine capaci di simulare il comportamento umano nella gestione di una conversazione digitale (chatbot), ai robot in grado di realizzare sofisticate operazioni manuali, passando per le macchine che in qualche modo “evolvono” attraverso l’esperienza.
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Sostituto o complementare?
Il dubbio che tormenta molti è che tutti questi “soggetti artificiali” possano arrivare a soppiantare l’uomo in molte attività, a cominciare da quelle lavorative.
Fintanto che immaginiamo l’IA come qualcosa di completamente separato da noi, il confronto è in effetti impietoso e quindi il dubbio giustificato: la macchina evoluta si presenta di fronte a noi come un “altro” capace di fare le stesse cose che facciamo noi, ma meglio, con maggiori semplicità e rapidità e scarti d’errore praticamente inesistenti.
In realtà, il più recente sviluppo tecnologico in generale e della robotica in particolare offrono più di una rassicurazione. Le avanzate intelligenze artificiali adottano, infatti, una logica di relazione con l’essere umano di tipo collaborativo e certamente non sostitutivo.
La tendenza è portare gli avanzati strumenti tecnologici di IA “dentro di noi”, per farli diventare estensioni del sé, parte integrante della persona ed addirittura dell’essere.
Questa percorso di “introversione tecnologica” trova peraltro conferma nella storia evolutiva della scienza umana. Macchine che, fino a qualche anno fa, occupavano un’intera stanza hanno gradualmente assunto dimensioni ridotte fino ad essere “portable” ed oggi addirittura “wearable”.
L’IA si pone quindi come qualcosa che può diventare parte integrante della persona e risorsa per la mente. L’automazione non viene oggi sviluppata per “rubare” il lavoro all’essere umano. Macchine e robot sono progettati per farsi carico del lavoro più “alienante”, deteriorante, “low level” ed automatizzabile, permettendo all’essere umano di concentrarsi su attività che richiedono l’applicazione di competenze cognitive evolute e di pensiero trasversale, aggiungendo con la propria umanità vero valore aggiunto.
Abbiamo chiesto anche a Ivan Ferrero, Digital Psychologist di rispondere alla domanda “L’AI ci porta via il lavoro?” – Ascoltiamo in 1 minuto la sua risposta:
Articolo di Nicoletta Ferrini